
Articolo del 23 Ottobre 2017
Che lo sport si possa assimilare ad un farmaco e che l’attività fisica e la salute abbiano un denominatore comune ormai sta diventando opinione diffusa. Io vivo questo assioma da sempre. Sono cresciuto giocando a pallone, sciando nella stagione invernale e via via che gli anni passavano ho praticato ogni attività sportiva mi fosse proposta o che per caso intrecciasse la mia strada di curioso “bulimico” motorio! L’attività sportiva ha plasmato il mio corpo e soprattutto la mia mente, oltre che riempito il mio cuore.
Lo sport è benessere!
Ma lo sport può far male?
La domanda credo sia mal posta, sarebbe più corretto chiedersi: quale quantità di sport è necessaria a farci star bene? Quale quantità perché si possa godere al massimo della sua forza benefica?
La nostra società, vecchia e sorda, ignorante e supponente, manda da sempre ed ancora oggi in modo deciso e sottile, messaggi di allerta! Lo sport può fare male! Si deve fare, perché ormai non si può fare a meno di dirlo MA… occhio! … A piccole dosi!
Non è così. Scientificamente non è così.
Lo sport (e l’attività motoria) ha un potere benefico sul nostro corpo solo se praticato con costanza, impegno e ignorando le chiacchiere dei soliti noti! Per avere dallo sport prima bisogna dare! Dare sudore, fatica, mal di gambe o di braccia, di schiena e poi… ricevere in cambio la vita che uno ha sempre sognato!
Per fare chiarezza credo basti rispondere alla domanda di Paolo (podista, 40 anni, ragioniere, per dire, uno di noi):
“Quand’è che l’allenamento diventa troppo?”
Un interessante studio degli anni 80 condotto dalll’Università di Harvard (poi ripreso in tutto il mondo e ormai universalmente accettato) su 17.000 allievi seguiti per 35 anni della loro vita, ha mostrato come la curva di rischio cardiovascolare diminuisca all’aumentare dell’esercizio fisico praticato fino raggiungere il minimo intorno alle 6-8 ore settimanali; all’aumentare dell’attività fisica oltre le 8 ore il rischio di morte torna leggermente a salire rimanendo comunque molto al di sotto dei valori che si sviluppano valutando gruppi di sedentari o di persone che si limitano all’attività motoria “ricreativa”.
Questi dati segnano una prima notevole differenza fra Well-being e fitness: chi cammina per 25 km alla settimana ha un rischio di morte del 22% inferiore rispetto a chi cammina solo per 5 km (per esempio solo nel week-end): un conto è dire che fare sport fa bene (o male) e un conto è chiedersi quanto sport serve fare (o non bisogna fare).
Se si declina lo studio di Harvard per la corsa, si trova che la quantità di chilometri settimanale da percorrere (conteggiando solo quelli allenanti, senza cioè il riscaldamento) varia da 50 a 100 circa. In questa valutazione si tiene conto che un runner di solito inizia la seduta correndo a ritmi molto blandi (warm up) e solo successivamente inizia l’allenamento vero e proprio. Nella frazione d’ora che rimane può percorrere da 8 a 12 km, quindi si va da un minimo di 48 km (6 ore) a un massimo di 96 km (8 ore) settimanali.
Quindi 50 km alla settimana sono la fascia minima di benessere. Per raggiungerli è bene distribuire il monte chilometri in 4 ma meglio 5 allenamenti alla settimana.
Molti atleti, per motivi di organizzazione personale, non possono allenarsi 5 volte a settimana; altri, pur avendo tutto il tempo necessario e le condizioni sociali perfette, non sono in grado di reggere questo ritmo e si limitano a tre uscite in cui fanno allenamenti più duri.
Questa scelta non avvicina al benessere, anzi ci fa allontanare dall’obiettivo.
Per raggiungere il benessere non ha senso allenarsi duramente tre volte alla settimana (per raggiungere a tutti i costi i 50 km settimanali): è meglio allenarsi in modo non strenuo, ma misurato, cinque volte.
Quindi quando un allenamento si può definire misurato?
Un allenamento si definisce fisiologicamente “misurato” quando lo si recupera completamente nelle 24 ore successive allo sforzo. Può darsi che in questo modo non si riusciranno a ottimizzare le prestazioni, ma si starà meglio avvicinandosi sensibilmente allo stato di benessere tanto ricercato.
Fisiologicamente parlando, alla base di queste considerazioni si deve considerare anche il fatto che non conta solo allenarsi, conta anche, e forse soprattutto, recuperare al meglio le energie disperse e lasciare al nostro corpo il tempo per ricostruirsi. Chi non ha ancora sufficienti doti di recupero non deve inserire allenamenti qualitativi troppo duri. È abbastanza inutile allenarsi “alla morte” tre volte la settimana se abbiamo bisogno di 48 ore per recuperare e per essere in grado di compiere un allenamento anche leggero (in senso assoluto). Chi non ha doti eccezionali di recupero o non le ha ancora sviluppate mediante un allenamento graduale e misurato, si espone spesso ad infortuni, quasi sempre causati da allenamenti o gare fatte in condizioni di stanchezza muscolo-tendinea. Se non ci si riesce ad allenare per 5 volte alla settimana è inutile prepararsi duramente con 3 allenamenti. È un segnale chiaro che il nostro corpo lancia.
Ora, per riportare tutto ad un clima più mite, meno complicato e guerriero è bene chiarire che il benessere è presente anche al di sotto delle soglie di perfezione che ho descritto. Esiste ed è una fascia di utenza teoricamente molto vasta, uno spazio che scende dalle 8 ore di allenamento in 5 sedute, alle 4 ore di lavoro su tre incontri nella quale l’effetto dello sport pur non raggiungendo effetti miracolosi regala buoni benefici ai praticanti!
Chi si allena tre volte alla settimana in modo costante e misurato riuscendo a cogliere i benefici di un riposo proporzionato alla fatica si arricchisce comunque di valori motori, metabolici e fisiologici che solo lo sport può regalare.
Per ogni obiettivo sportivo si può costruire un modello efficace di allenamento e un programma misurato di attività. Il benessere, minimo e massimo che sia, è assicurato!
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